Ogni volta che pronuncio, scrivo o penso a questa frase, un brivido mi percorre tutto il corpo e mi sento felice. Non ho mai capito perché questa frase mi emozionasse tanto.
Dopo un mese e mezzo di analisi, ne ho compreso il perché.
Pragmatica, risolutiva e amante della logica, non ho mai rinunciato alla mia parte sognatrice e creativa che mi porta a guardare oltre i confini, mi solleva.
“Volar sanz’ali” è il mio desiderio inconscio di leggerezza, di positività, di vita oltre gli ostacoli, che ci arrivano come macigni e intralciano il nostro percorso. Questa mia voglia di leggerezza stona però con il mio fisico pesante, non adatto al volo, che mi trattiene a terra. Per quanto la mia mente ed il mio animo provino a farmi volare, trattenuta a terra dal mio peso, riesco solo a fare qualche saltello, ma non a spiccare il volo. La colpa non è di certo del mio corpo o della mia testa, troppo impegnata a tenere i pezzi insieme ed in ordine, ma di un’abitudine, una strategia del mio inconscio.
Quando ho iniziato ad incontrare i primi macigni non sapevo come fare, ed ho trovato nel cibo un forte alleato. Se mettevo in bocca qualcosa che mi piaceva, la sensazione di benessere che provavo subito dopo riusciva a farmi sopportare tutto il malumore e lo stress che il “macigno” portava con sé. Così, nei miei momenti bui, iniziati in età preadolescenziale, spendevo tutta la paghetta in schifezze, che una dietro l’altra ingurgitavo ed alle quali non sapevo dire di no… non potevo dire di no! La cosa fantastica è che dopo stavo benissimo! Non mi sentivo in colpa.
Era quasi magico, ma… ogni magia ha il suo prezzo. Ogni volta che riuscivo a saltare un macigno era come se ne staccassi un pezzo e lo mettessi in tasca a rendermi pesante, ovviamente sotto forma di kg. Crescevo ed iniziavo a farmi delle domande, a capire che il mio rapporto con il cibo non era sano. Provai la mia prima dieta, e l’abbandonai dopo sole due settimane! Avevo capito che era un problema alimentare, ma anoressica non ero di sicuro; bulimica, mi ci sentivo a metà.
Mi rivedevo nella parte dell’abbuffata, ma dopo non avevo sensi di colpa e di certo non vomitavo. Non riuscivo a capire perché le persone bulimiche volessero liberarsi di una magia così fantastica. Il problema del sovrappeso è sempre stato visto dalla società con indifferenza, attribuendo aggettivi come pigrizia e scarsa forza di volontà alle persone che ne soffrivano, senza dare al problema una connotazione psicologica profonda.
I macigni continuavano ad arrivare e le mie tasche si riempivano sempre più di sassi. A 17 anni feci la mia prima dieta seria! 8 kg in 2 mesi, peccato che poi arrivò l’estate, con il carico di stress e due lutti importanti e consecutivi. Lasciai la dieta, raccolsi i sassi e pagai i miei bei interessi. Altro tentativo flebile, con una dieta, dopo un annetto. Pochi kg, lasciai quasi subito, continuando a sapere che il problema non l’avrei risolto così, ma non sapevo come fare. Passarono gli anni, altri macigni e le tasche colme. Approdai ad un’altra dieta per volere di mia madre. Una settimana. Mi rassegnai ed abbandonai ogni speranza.
Un periodo di crisi nera però mi porto a voler essere aiutata da una psicologa. La terapia giovò al mio animo, ed anche al mio corpo. Decisi di riprovare con una dieta anche perché pensavo di poter gestire le situazioni di stress senza lasciarmi andare al cibo. Tutto filò liscio, 10 kg in 3 mesi; poi, un macigno in pieno volto. Ripresi tutti i kg e persi nuovamente la speranza di venirne a capo. Sono una tipa tenace, così dopo un anno e mezzo riprovai con l’ennesima dieta e, inesorabile, arrivò l’ennesimo fallimento. Non poteva però finire così, non potevo arrendermi, non mi piacevo fisicamente e qualcosa andava fatto. Sapevo di che aiuto avevo bisogno, ma non sapevo a chi chiedere.
Un giorno d’aprile, cercando su Google, mi imbattei nel sito web della dott.ssa Majore, mi iscrissi al gruppo “Dimagrire con la testa” e partii con il mio percorso.

Adoro la Psicologia. Data la mia passione per i cani, a 10 anni decisi che sarei diventata “la psicologa dei cani”. Sogno realizzato, che continuo ad alimentare e a sostenere, non smettendo mai di studiare e di aprirmi a nuovi orizzonti. Capire un cane, cercare di vedere il mondo dai suoi occhi, capire il perché di certi comportamenti e cercare di modificarli è il mio lavoro, il mio “modo” di condurre il mio lavoro. In questo percorso sono io il cane, ed io l’educatrice di me stessa. Ho sempre tenuto d’occhio il mio comportamento errato e capite le cause, ma dovevo fare un passo in più, dovevo avere conoscenze in più, strumenti in più per risolvere problema.
Iniziammo la terapia e tirai fuori tutti i miei sassi. Alcuni già limati, consumati, simili a pietruzze, alcuni che stavo limando ed altri, i più recenti, grandi come una palla da basket. Quelli non li avevo ancora toccati, alcuni neanche osservati. Per limare dei sassi ci vuole tempo e pazienza. Prima di tutto devi accorgerti della loro esistenza, poi iniziare ad osservarli e poi a farti delle domande a cui solo tu puoi dare una risposta. E’ dentro di te, ma va cercata con cura. La prima domanda, quella classica, quella che fa traboccare il vaso o meglio il sasso, l’evergreen che non secca mai, è il mitico “Perché”?
L’utilizzo del metodo scientifico nella mia vita è un must, come una giacca di pelle nelle mezze stagioni o il classico tubino nero, che sta bene in ogni occasione. Non riesco a spiegarmi qualcosa? Mi chiedo il “perché”, arrivo a delle conclusioni e vado a verificare se siano valide. Se lo sono, allora ho risolto, altrimenti – con le nuove conoscenze acquisite – provo a fare un’altra ipotesi e riparto da capo. Se è facile farlo con un problema di geometria diverso è farlo nella vita, dove i tempi d’attesa sono più lunghi e gli errori fanno male. Sembrerebbe che io abbia tutte le carte in regola per giocare questa partita, peccato che non basti e che la mia decisione venga appoggiata e sostenuta da pochi. La frase ricorrente è sempre la stessa , “per dimagrire bisogna chiudere la bocca!!”. Io affronto questo percorso con tutto l’entusiasmo, la grinta e la sicurezza che sia la strada giusta, ma questo non cambia il fatto che sia difficile, che faccia male, che sia un percorso pieno di lacrime.
Compilando il diario, mi rendo conto che le volte che mangio per fame si contano sulle dita di una mano. Chiederti perché stai mangiando mentre addenti qualcosa, prima di farlo o mentre stai masticando è massacrante, perché le prime volte non conosci le risposte. Nella parte “emotiva” del diario, non sapevo mai cosa scrivere. Buio. Accendevo la luce con un “perché” e non vedevo nulla.
Per le prime 3 settimane non corressi in alcun modo l’alimentazione, intenta a capire la parte emotiva e a monitorare il mio comportamento. Feci gli esercizi, compilai il diario, feci tesoro dei nuovi insegnamenti, limai i sassi, sia in seduta che da sola. In ogni momento della giornata. Ad un certo punto, dato che il peso ovviamente non calava, decisi cambiare il mio stile alimentare. Ci provai e caddi nella restrizione tipica delle diete. Iniziai a definire questo percorso come una linea strettissima, una corda, ed io come una funambola che doveva camminarci sopra. A furia di cadere e di riprovarci, avrei allargato questa linea fino a farla diventare una strada che non solo mi avrebbe portato al successo, ma che avrei percorso per tutta la vita.

Allora però ero ancora sulla corda. Da una parte la convinzione errata di dover adottare una restrizione simile a quella di una dieta, “non devi, non puoi mangiare questo e quell’altro”, dall’altra la spinta verso la disinibizione “mangia come ti pare, quanto ti pare e fregatene. Tanto ormai…”.
La linea era invece fatta di domande come: “hai fame?”, “ ne hai bisogno?”, “ sei sazia?” , “se lo sei, PERCHÉ continui a mangiare?”. Io ero persa. Camminavo incerta con il peso dei mie sassi e non trovavo l’equilibrio. Non ero, però, più sola.
La psicoterapia mi incita a continuare a camminare, a non avere paura di cadere e ad allargare i miei orizzonti.
Ad un certo punto crollai di brutto. Un macigno enorme si era riproposto davanti. Era un esame finale davvero tosto per me emotivamente. Ero stremata. A furia di limare, saltare, cadere, rialzati, ripartire, esausta mi sedetti su questo macigno e decisi di staccare. Per quei due o tre giorni prima di dover saltare non volevo fare nulla, mi volevo riposare. Peccato che questo percorso non è come le diete, non lo puoi interrompere… innesca un cambiamento definitivo e, come tale, non ti abbandona mai!
Lo stress era troppo e, decisa a sedare l’angoscia con un’ abbuffata di patatine e qualcosa di dolce, entrai in un supermercato. Arrivai al reparto patatine, le guardai, presi il pacco grande, da 8 sacchetti. Li rimisi sullo scaffale. Toccai di nuovo il pacco. Mi fermai e pensai, “non voglio, non ho fame, ma ne ho BISOGNO per sfamare la mia “fame”, che fame non è”.
Nel tempo, l’ago della bilancia iniziò a scendere. Il lavoro su me stessa stava pagando anche in termini di kg in meno. Grazie ad un contapassi, costantemente aumento l’attività fisica quotidiana. È un perenne mettersi in gioco, aggiustare il tiro, dosare le forze e complimentarsi con se stessi per ogni risultato raggiunto.
Non è poi semplice fare i conti con le proprie credenze, le proprie abitudini. Ero arrivata a 5-8 caffè al giorno. I primi 2 la mattina, senza fare colazione, poi altri sparsi durante la giornata, perché ero convinta mi dessero energia e spezzassero la fame. In realtà, lo zucchero che mescolavo ad ognuno dei miei caffè non faceva altro che innalzare l’indice glicemico facendomi arrivare prima – e più affamata – ai pasti.
Ora, verso il mio caffè nel latte la mattina e mi fermo a fare colazione, pasto – come sappiamo tutti – più importante della giornata, anche a costo di far tardi a lavoro. Lo zoccolo duro, il tallone di Achille, il problema dei problemi è scindere le connessioni emozioni/ cibo. Un impegno quotidiano, che ti costringe ad imparare ad affinare i sensi per capire quando puoi agire ed inserire una nuova strategia e quando, invece, è il caso di lasciarti andare per far si che tutto questo non diventi un ulteriore stress, che poi sappiamo a cosa porta.
Non sempre fila tutto liscio; ora la linea sottile, la corda, è diventata una strada stretta di campagna con due canali ai lati. Sabotare un sistema che, per quanto ti abbia fatta ingrassare, ti ha anche aiutata a superare momenti davvero brutti è una battaglia dura, ma è la mia battaglia!
Ora le mie emozioni le vivo, non le sedo; le lascio fare il loro corso ed è difficile, perché significa, a volte, stare male. Ma lentamente, ogni volta che lo faccio, salto un ostacolo e perdo, dalla tasca, un sasso. Sono a meno 5 sassi, ops … – 5kg senza dieta, senza privazioni o dogmi da seguire. Sono io, le mie emozioni e il cibo. Nessun altro.
Ho il mio punto di riferimento in questo percorso, la dott.ssa, ma sono io che decido, io che lavoro, io che cambio definitivamente.
Un giorno non lontano, come la donna cannone, tutta sola mi incamminerò verso un cielo nero nero, con le mani e per le mani mi prenderò e senza fame e senza sete, senza ali e senza rete… volerò via!